sabato 22 ottobre 2011

L’oro delle colline di Brindisi


L’oro delle colline di Brindisi

di Federico Lacche
L’oro delle colline di Brindisi Viottoli di campagna, a tratti cinti da muretti a secco, che si avventurano a perdita d’occhio nelle tenute che circondano le masserie. Tutt’intorno, a migliaia, monumentali alberi d’ulivo. I raggi del sole si posano obliqui su questi giganti, accarezzandone le fronde imponenti. Sono ogliarole e cime di Mola, piante ultracentenarie che possono oltrepassare i dieci metri d’altezza, con chiome di venti metri di diametro e “portate” di una tonnellata e mezza di olive.

Alcune furono piantate più di 700 anni fa dai monaci basiliani in fuga dall’Oriente, che iniziarono a trasformare grotte ed eremi ipogei in frantoi. E’ a pochi chilometri da Fasano, sulle ultime propaggini delle Murge, tra le terre di Bari e le antiche terre d’Otranto, che iniziano le prime tracce di un itinerario puntato alla scoperta di quello che i greci chiamarono elaion, i latini oleum e che per tutti i popoli del Mediterraneo era autentico oro liquido.

L’olio è servito a massaggiare atleti olimpici, ungere re, profumare faraoni e riempire antichi forzieri. E poi, naturalmente, a impreziosire ogni cibo, con un aroma intriso di storia. A “sua maestà” l’olio, qui sulle colline di Brindisi, è stata dedicata una strada, forse la prima in Italia e che, estesa per circa 150 chilometri, unisce idealmente i comuni di Carovigno, Ceglie Messapica, Cisternino, Fasano, Ostuni, San Michele Salentino, San Vito dei Normanni e Villa Castelli, incrociando frantoi, borghi rurali e, soprattutto, antiche masserie.

Proprio queste ultime, infatti, sono le storiche “industrie olearie” della Puglia, al centro di sterminati latifondi signorili il cui prestigio non veniva misurato in ettari, ma in numero di alberi d’olivo. Alcuni possedevano fino a 50.000 “chiome”, capaci di produzioni giustificabili solo col commercio e le esportazioni. Ecco allora i porti di Gallipoli – da cui partiva olio per l’industria del sapone di Marsiglia -, di Otranto, di Monopoli, di Bari e dell’antica Egnazia: dai loro magazzini, tra il XV e il XVI secolo, partivano ogni anno, e per la sola Venezia, ben 52.000 salme d’olio (una salma corrispondeva a circa 156 chili o 168 litri)!

Da queste parti, a poche settimane dall’inizio della raccolta e della molitura delle olive, è d’obbligo la visita a un primo Museo dell’Olio d’Oliva, nei pressi di Fasano, che appartiene a una masseria di uno storico casato di olivicoltori pugliesi. Sorge sul nucleo primitivo (XI e XII secolo) di una grancia dell’abbazia dei monaci greci di S. Nicola in Casole d’Otranto. Qui hanno trovato posto le tradizionali macine in pietra viva un tempo azionate a forza animale, le macchine frangisansa per eliminare i noccioli, i torchi in mogano destinati ad accogliere i fiscoli per la spremitura, le cisterne di raccolta e tanti altri strumenti che raccontano la storia delle produzioni olearie dal 1600 ai primi anni del secolo appena trascorso. E poi, altra tappa dell’itinerario, il Museo oleario di San Vito dei Normanni, allestito nelle magnifiche sale dell’ex Convento dei Padri Domenicani. L’esposizione  racconta la storia dell’olio d’oliva, dell’arte legata alla sua produzione, della cultura contadina come preziosa eredità per le giovani generazioni.

Sulla strada che collega Fasano a Ostuni, bianca regina degli olivi, si susseguono decine di dimore, sovente adibite ad agriturismo, dalle più svariate linee architettoniche: masserie-regie, masserie-abbazie, fortificate, non di rado di gusto tardo-rinascimentale e barocco. Alcune abbandonate da anni, altre pregevolmente restaurate e organizzate per accogliere turisti di passaggio in cerca di acquisti e degustazioni. Minuscoli bicchierini d’olio da assaporare. Un rituale prezioso. Si tengono in un palmo, chiudendo con l’altro i bordi per riscaldare il succo d’oliva; poi si toglie la mano, ed esplode l’effluvio dei profumi. Quindi inizia l’assaggio al palato, aspirando forte e facendo schioccare la lingua per fissare meglio flavour e sapore. Un extravergine deve rispettare anche precisi criteri di composizione: è tale solo fino a un grado di acidità, entro i due gradi è vergine, mentre oltre i tre è un olio lampante di olive, non commestibile. L’olio delle colline di Brindisi è stato il primo ad essere riconosciuto anche a denominazione di origine protetta. In pratica, è un extravergine realizzato al 70 per cento con olive di alberi ultrasecolari di ogliarola salentina, e al restante 30 per cento con celline di Nardò o un mix di coratina e leccino.

L’olio può anche essere considerato un elisir, un “medicinale” – limita l’invecchiamento cellulare, aiuta a prevenire l’ispessimento delle arterie, il cancro e i calcoli biliari – e un cosmetico. Lo avevano compreso gli egizi, che lo utilizzavano in veste di antirughe ed emoliente per il corpo, come le antiche comunità rurali, che all’olio ricorrevano per estrarre le spine dalla cute o assicurare lucentezza ai capelli. E’ proprio vero, l’olio è capace di affascinare e sedurre. E nei rami possenti degli ulivi di questa terra, in quei tronchi che talvolta diventano sculture, si riassume la potenza straordinaria della natura. Non rappresentano solo bellezza: gli ulivi sono il nostro paesaggio storico. E per questo è nata la prima strada dell’olio italiana. Non resta che percorrerla, magari in questo periodo di raccolta e molitura, quando ogni anno – da mille anni - si celebra una silenziosa alleanza tra l’uomo e la natura.

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